Da Ronchi dei Legionari a S. Pier d’Isonzo  

Proseguendo il nostro spostamento dal Carso verso l’Isonzo, muoviamo dal sito di scavo della villa romana (vedi perc.1) lungo il perimetro del comprensorio aeroportuale. Passiamo vicino a Soleschiano, in origine un praedium del territorio, oggi una borgata della periferia di Ronchi, disposta attorno a un largo incrocio con architetture di svariate tipologie. Sullo slargo si apre il portale principale di villa Meterc, un grosso edificio dominicale di probabili origini seicentesche, appartenuta nel tempo ai cividalesi Canussio, poi ai locali Chiaradia. La casa, oggi suddivisa in più proprietà, mostra i segni di alcune trasformazioni, ma è inserita da un ombroso giardino con alcuni alberi notevoli. Notevole pure il viale di lecci che costeggia il tratto di strada davanti alla villa, percorso che ci accompagna fuori dall’abitato, nelle campagne a sud.

Curiosamente nascosta tra le case più a nord, collocata nel cortile di una casa rurale, si trova la chiesa di San Tommaso, un piccolo edificio di culto che riprende la tipologia frequente nei paesi del territorio fino a tutto il Settecento: ha una semplice facciata dominata da un campaniletto a vela e l’interno ad aula unica. Il nostro itinerario percorre il breve viale di lecci per dirigersi verso i campi, in direzione dell’aeroporto. A metà del viale sulla sinistra due pilastri in mattoni raccordati alla base da un profilo curvo incorniciano l’accesso a una lunga carrareccia rettilinea, che si inoltra tra vigneti e altri campi coltivati. Si tratta dell’asse centrale della sistemazione fondiaria che faceva capo alla villa: come frequente nelle aziende agricole sei-settecentesche, essa collegava il disegno planimetrico del corpo architettonico alla disposizione dei campi, rendendo allo stesso tempo più razionale e ordinata l’organizzazione del lavoro rurale.

Per procedere lungo il nostro itinerario seguiamo le indicazioni che portano ai moderni fabbricati di un impianto industriale. Lasciato alle spalle l’abitato siamo in uno spazio aperto, configurato dalla compresenza un po’ contrastante dei campi, dei capannoni e dell’estensione libera della pista aeroportuale. Poco oltre a destra prendiamo la carrareccia che ci conduce verso San Zanut e San Pier d’Isonzo attraverso la campagna. Da questo tratto scorgiamo in tutta la sua monumentalità il sacrario di Redipuglia; davanti ad esso vediamo la parte retrostante del colle Sant’Elia, dove si trova l’altro cimitero monumentale.

 

Negli anni del conflitto i caduti sul fronte trovavano sepoltura nei cimiteri di guerra nelle doline del Carso, oppure nei camposanti dei paesi collocati nelle retrovie (quelli dei paesi di tutto il territorio monfalconese per gli italiani, piccoli cimiteri del Vallone e del Carso oggi sloveno per gli austriaci). Il primo cimitero monumentale di guerra fu inaugurato sul colle Sant’Elia nel 1923: era composto da una serie, dei terrazzamenti concentrici che salivano verso la sommità del colle, dei “gironi”sui quali trovarono posto semplici tombe e monumenti allestiti con materiali raccolti nei campi di battaglia. Altri cimeli (cannoni, pezzi di artiglieria) vennero aggiunti progressivamente nel tempo, in particolare con l’apertura del Parco della Rimembranza e del piccolo museo annesso.

Sul versante carsico opposto al colle nel 1938 fu costruito il cimitero monumentale più importante d’Italia, dedicato alla memoria di 100.000 soldati della Terza Armata morti sul Carso. Disegnato da Giovanni Greppi e Giannino Castiglioni, è costituito da un’imponente scalinata, sui cui gradoni sono incisi i nomi di 39.857 caduti. Alla sommità ci sono tre croci votive, una cappella e un osservatorio sui campi di battaglia, mentre alla base si trova la tomba del Duca d’Aosta , affiancata da quelle dei suoi generali, poste simbolicamente a guidare il loro esercito. Altri 60.330 caduti, non identificati, sono ricordati collettivamente.

In relazione alla creazione di questi sacrari le spoglie dei caduti italiani furono riesumate dai luoghi in cui si trovavano. Anche i caduti austriaci sepolti nei cimiteri del Vallone sono stati traslati, ma appena nel 1969, per trovare pace definitiva nel cimitero di guerra di Prosecco. Per questo sul Carso ci sono ancora molti piccoli cimiteri “vuoti”, costituiti in genere dal solo recinto.

Il percorso interpoderale sbuca in breve su una strada asfaltata: alla nostra sinistra vediamo il piccolo agglomerato di San Zanut. Si dispone attorno alla chiesa di san Giovanni Battista, anch’essa a navata unica con vela sulla sommità della facciata. Il presbiterio è completamente affrescato, con opere del 1696 (alcune staccate): ci sono figure di apostoli, la Trinità, una “strage degli innocenti”, angeli e figure simboliche sui lati, firmate da tale Lampi.

A destra invece la strada ci porta verso il paese di San Pier d’Isonzo. Dopo qualche centinaio di metri, una stradina a destra arriva nei pressi di una cava di ghiaia. Qui fu ritrovata casualmente una delle numerose testimonianze della presenza romana nel territorio di questo comune, un’interessante ara votiva in pietra di Aurisina. L’iscrizione attesta la dedica che Marco Licinio Vitale fa al dio Aesontio, confermando che il culto per il fiume era piuttosto diffuso; il tipo di terreno non aiuta comunque a fare chiarezza sulla localizzazione del percorso fluviale in tempi antichi, questione molto dibattuta da sempre, in quanto l’aretta potrebbe essere stata trasportata dalle acque.

Seguendo la strada asfaltata intercomunale ci avviciniamo al centro di San Pier, ben individuabile da quasi tutto il territorio per il campanile, che con i suoi 59 metri è il più alto della bisiacaria dopo Monfalcone.

La chiesa parrocchiale, costruita nel 1762 sul luogo di un’antica pieve citata già nel 1274, fu chiesa decanale per numerose altre parrocchiali di sinistra e destra Isonzo; danneggiata durante la guerra venne prontamente restaurata, come il campanile, ricostruito dopo la prima guerra su progetto di Federico Mazzoni. Attorno alla chiesa si racchiudeva la centa, ora solo in minima parte leggibile. Tracce di insediamenti romani in tutto il territorio comunale sono stati rinvenuti in più momenti, a testimoniare che l’intera area apparteneva all’agro aquileiese. I reperti documentano alcune fornaci e probabilmente due villae, situate a sud del paese. Ancora a sud, il cimitero comunale è pure cimitero militare dedicato al maggiore G. Venezian. Nella vicina frazione di Cassegliano si trova villa Sbruglio, costruita nel XV secolo in corrispondenza di un importante passo di barca sull’Isonzo, ristrutturata in eleganti forme neoclassiche dai Prandi nel XIX secolo; distrutta da un incendio nel 1939 è stata poi in parte ricostruita ed è oggi abitata.