Da Monfalcone a Doberdò del Lago

 

Da Monfalcone a Doberdò del Lago

 

Il percorso mette in collegamento il Parco Tematico della Grande Guerra con la riserva naturale dei laghi di Doberdò e Pietrarossa. Permette di raggiungere Doberdò da Monfalcone ed eventualmente proseguire per i percorsi 9 e 10.

La prima parte del cammino ricalca l’area su cui è stato istituito il parco monfalconese dedicato alla prima guerra mondiale. L’accesso principale si trova presso piazzale Tommaseo e via del Carso, nel rione di via Romana e da qui evidenti indicazioni segnaletiche ci conducono ai punti più significativi dell’area. Qui si trova pure l’area didattica “Il luogo della ghiandaia”.

Il Parco Tematico della Grande Guerra si estende su una zona aspramente contesa nei primi due anni del conflitto (la cima più alta e orientale, quota 121, fu conquistata e perduta ripetutamente da entrambe le parti). I suoi sentieri, in buona parte coincidenti con i sentieri CAI, si snodano tra il versante sud e quello nord delle colline orientali monfalconesi attraverso numerosissime testimonianze: tra quelle da poco risistemate allo scopo di renderle visitabili si segnalano la zona di quota 121 (detta anche cima di Pietrarossa o Golas), il sistema difensivo posto sulla retrostante sella di quota 85 e la stessa quota 85, dove si trova una sorta di promenade affiancata da cippi commemorativi e focalizzata sul monumento a Enrico Toti; poi, più a ovest la Grotta Vergine, la trincea Joffre, altre trincee e asperità naturali adattate a scopi protettivi e difensivi da parte dell’esercito italiano.

L’estremità ovest del parco si situa nei pressi di un’altra fortificazione, risalente però a tempi più lontani. E’ la Rocca, costruzione simbolo della città di Monfalcone, che solo una convinzione popolare ancora vuole realizzata da Teodorico, re degli Ostrogoti, nel 489 d.C.. Posta sul luogo di un castelliere preromano e romano, risale all’epoca patriarcale (XII-XIII secolo) e fu poi consolidata attorno al 1527 dai Veneziani, presenti nel Territorio di Monfalcone da poco più di un secolo. Si compone di un mastio a pianta quadrata, circondato da una muraglia circolare; più esternamente i resti dei manufatti di fossato e terrapieno.

Un giro completo lungo il muro esterno della fortificazione ci mette di fronte a uno scenario paesaggistico che cambia nelle diverse direzioni: dall’area antistante l’ingresso del monumento si può osservare e comprendere lo sviluppo urbano dell’abitato e il suo strano rapporto con il mare, oppure seguirne l’espansione verso il mandamento e la pianura; spostandoci lungo il perimetro, al variare di un paesaggio sonoro che man mano abbandona i rumori della città per sostituirli con quelli più ovattati della retrostante autostrada, si può spaziare sulle altre cime carsiche, riconoscendone, tra gli arbusti, gli allineamenti più prossimi e quelli più lontani.

La vedetta si trova su una cima più o meno intermedia della catena carsica che delimita a nord l’area urbana: in direzione ovest si dispongono le cime del Sochet, della Gradiscata e delle Forcate; a est q.99 e il Golas, più oltre la Moschenizza e il Flondar. Su ogni cima in epoca preistorica si trovava un castelliere, ciascuno rilevato e analizzato dagli studi ottocenteschi di Carlo de Marchesetti. Tra tutti,oggi il più leggibile è il castelliere della Gradiscata, raggiungibile a piedi o in bici dalla Rocca lungo i sentieri CAI o dalla zona dell’ospedale di San Polo.

Anche in questa parte del Carso, come in altre zone dell’altipiano, le pietre dei castellieri si confondono con il cemento delle trincee; qui in modo che appare ancor più evidente per la natura spoglia e brulla del terreno. Le colline a est mostrano invece una vegetazione più ricca, dominata dalla presenza del pino nero introdotto nel Novecento (sui versanti nord particolarmente fitto), mescolato a carpino, roverella e altri arbusti tipici della flora spontanea.

Scendendo alle spalle di Monfalcone raggiungiamo il solco di Pietrarossa, una valle allungata in direzione est-ovest, oggi attraversata interamente dall’autostrada Venezia-Trieste. Impegnando l’unico sottopasso che consente di valicare la strada entriamo nella Riserva Regionale dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa. All’estremità est del solco alcuni pioppi e salici, contrastanti con il brullo e scontato paesaggio lungo la valle, ci fanno intuire la presenza del lago, con le sorgenti del suo immissario e il corso dell’emissario. All’estremità ovest si trovano invece i laghetti delle Mucille e le case di Selz, sovrastate dai cupi “buchi” rimasti nelle rocce del pendio carsico a seguito della storica attività di estrazione della pietra (utilizzata in loco da alcune fornaci di calce).

Per raggiungere la depressione in cui si trova il lago di Doberdò (seguire le indicazioni) percorriamo una strada sterrata che corre tra le alture del Debeli e dell’Arupacupa, anch’esse cime fondamentali nelle strategie della Grande Guerra (sull’Arupacupa si trova un’altra zona sacra; la si raggiunge da Jamiano).
La Riserva Regionale Naturale dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa si estende su una superficie piuttosto articolata che comprende la parte sud del colle del Castellazzo, la depressione del lago di Doberdò e buona parte di quella di Pietrarossa. Presenta un paesaggio estremamente singolare, ricco di peculiarità floristiche e faunistiche legate alla presenza dell’acqua e di fenomeni carsici unici. Il lago di Doberdò può presentarsi colmo d’acqua, estesa fino ai canneti e pioppeti lungo le sponde; oppure può apparire quasi asciutto, nella forma di una distesa melmosa disegnata dai solchi e dai meandri lasciati dalle acque nel loro ritiro verso inghiottitoi collegati a una ancora poco nota rete idrica ipogea. I centri visite Konver e Gradina e un paludario aiutano a comprendere le particolarità.

L’abitato di Doberdò, e quindi i percorsi 9 e 12, può essere raggiunto dal lago, oppure da una deviazione che si stacca dal fondovalle di Pietrarossa per salire sui pendii del monte Debeli, del monte Cosich verso l’area a landa sovrastante l’abitato di Selz.