Da Polazzo al Monte San Michele
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- Pubblicato: Mercoledì, 10 Febbraio 2016 07:51
Da Polazzo al Monte San Michele
E’ uno dei percorsi che congiungono la pianura all’altipiano, attraversando ambienti naturalistici tra i più tipici del Carso isontino e luoghi intrisi di memorie della Grande Guerra.
Buona parte dell’itinerario coincide con la strada delle battaglie, tracciato che inizia a Polazzo per raggiungere il monte San Michele attraverso quelli che sono stati gli scenari delle prime sei battaglie dell’Isonzo.
Dall’abitato di Polazzo prendiamo quota grazie a una strada bianca che sale con alcuni to rnanti permettendoci di ammirare il valloncello sottostante e i paesi più lontani. Il colle dall’altra parte del valloncello era un castelliere; dietro ad esso spunta la chiesa –forte di Santa Maria in Monte.
Giunti in quota incrociamo, a sinistra, la strada che sale da Fogliano. Dobbiamo raggiungere la provinciale Sagrado-Doberdò e possiamo scegliere: svoltando a sinistra percorriamo a ritroso la strada sterrata verso Fogliano fino a che, superata la seconda sbarra, siamo in prossimità di uno slargo usato come parcheggio; a questo punto pieghiamo a destra e ci immergiamo in un bosco di pini, carpini e roverelle, in cui si trovano alcune casette in legno utilizzate nel tempo libero; usciti dal bosco siamo ormai nei pressi della strada provinciale. Se invece al bivio prendiamo a destra, attraversiamo i terreni che competono a un noto centro agrituristico, dove alcuni sentieri ben segnalati ci permettono di osservare ambienti ripristinati (landa carsica, doline), trincee e cavernoni ben ripuliti. La strada provinciale Sagrado-Doberdò è poco oltre la sede del centro, in località Crosera.
A circa duecento metri dalla Crosera, in direzione Sagrado, dalla provinciale si stacca a destra il sentiero CAI n.77. Prima di imboccarlo possiamo scorgere in mezzo ai vigneti della vicina tenuta di Castelnuovo un edificio sormontato da una torretta: si dice che la torre fosse stata utilizzata dai conti della Torre, signori di Sagrado, come vedetta ma anche come punto di segnalazione luminosa con le altre fortificazioni del Carso e con il castello di Duino, proprietà della stessa famiglia.
I terreni percorsi dal sentiero CAI (proseguimento della strada delle battaglie) sono qui completamente cosparsi di segni che ci ricordano le vicende belliche. Nel periodo tra il 1915 e l’estate del ’16 il fronte correva in questa zona e le trincee italiane e austriache si contrapponevano a pochi metri le une dalle altre, allineate in modo tortuoso da Castelnuovo fino a San Martino e al monte San Michele. I caduti furono qui particolarmente numerosi. Troviamo così in questo tratto cippi e monumenti commemorativi, trincee austriache, trincee italiane e ancora trincee austriache, riutilizzate e rinforzate dagli italiani dopo lo spostamento del fronte più a est.
La maggior parte delle trincee che oggi incontriamo sul Carso sono nella forma delle trincee austriache successivamente riutilizzate da parte dell’esercito italiano. L’Austria-Ungheria aveva già provveduto a fortificare il fronte prima dell’inizio del conflitto scavando trincee poco profonde protette da muretti di pietra e sacchetti di sabbia. Al procedere dell’avanzata italiana, le trincee conquistate venivano riutilizzate semplicemente rivoltandole nella direzione opposta. Dopo l’agosto del 1916, quando il fronte fu spostato ad est (più o meno in corrispondenza dell’attuale confine italo-sloveno) le trincee che prima si trovavano in “prima linea” divennero retrovie italiane di terza e quarta linea, trasformate in ricoveri o postazioni di artiglieria, consolidate mediante l’impiego di calcestruzzo, in genere grossolanamente armato. Quasi tutte le trincee e le altre fortificazioni oggi esistenti hanno le feritoie rivolte a est.
Svetta tra tutti come un totem il cippo dedicato a Filippo Corridoni, sindacalista interventista amico di Mussolini, morto nei pressi nel 1915. Il monumento, costruito alla fine degli anni Trenta, reca evidenti simboli dell’iconografia fascista (aquila, fascio, ruota dentata, aratro). Poco prima si scorge il cippo dedicato al capitano Pietro Marras, mentre un po’ oltre al cippo Corridoni si trova la piccola area monumentale alla Brigata Sassari, storico reparto a reclutamento prevalentemente regionale. Qui vicino si trova pure la cosiddetta Trincea delle Frasche (arrivare fino alla strada per San Martino, piegare a sinistra lungo questa e poi ancora a sinistra seguendo l’indicazione): appare oggi nella forma di una trincea di quarta linea italiana, rinforzata con cemento e rivolta a est, ma era in origine una trincea austriaca mimetizzata, come altre, con fronde di albero (da cui il nome), conquistata poi dalla Brigata Sassari nel 1916.
La strada asfaltata ci porta in breve a San Martino del Carso. Gli allineamenti delle trincee corrono alla sua sinistra, verso la pianura, nelle zone di Bosco Cappuccio e Bosco Lancia. Appena giunti nell’abitato, una semplice pietra incisa ci riporta alla mente le parole che il soldato Giuseppe Ungaretti gli dedicò in una della sue poesie più celebri. Il paese è luogo di immigrati vicentini, motivo per cui, a differenza degli altri paesi del Carso, qui si parla prevalentemente italiano. Procediamo nella direzione del monte San Michele, passando dietro alla chiesa, dove un cartello ci segnale il monumento Honved, dedicato ai soldati ungheresi che avevano in consegna il controllo della situazione attorno al monte San Michele. Il monumento, è costituito da una semplice piramide in pietra bianca, simile a un altro monumento situato oltre il Vallone, nei pressi dell’abitato di Nova Vas (oggi in territorio sloveno).
La strada raggiunge il piazzale della zona sacra del monte San Michele, uno dei primi e più visitati “luoghi di memoria” dedicati alla Grande Guerra.
Il San Michele è il monte più alto del Carso isontino (una delle cime raggiunge m.257). Assieme al Podgora (Monte Calvario), Monte Sabotino e Monte Santo costituiva uno dei capisaldi del campo trincerato austro-ungarico posto a difesa della città di Gorizia. Nella prima parte della guerra i soldati ungheresi, Honved, avevano il compito di controllare da qui le sottostanti trincee italiane, mentre caverne e doline ospitavano artiglieria, alloggi e servizi per i vari battaglioni. Dopo la presa di Gorizia e l’arretramento del fronte austriaco i cavernoni furono utilizzati, ampliati e riattrezzati per le esigenze dell’esercito italiano.
Dopo la fine della guerra l’area divenne un museo all’aperto organizzato dai militari fin dal 1922. Progressivamente arricchito, è stato di recente risistemato in molte sue parti. Il piazzale, balcone panoramico privilegiato sulla piana di Gorizia, l’Isonzo, il Friuli, le Prealpi e le Alpi Giulie, presenta pezzi di artiglieria italiana, bombarde austriache, cippi commemorativi e un piccolo museo. Nei pressi si aprono gli accessi di postazioni in caverna dell’artiglieria italiana, scavate nella roccia dopo il 1916, mentre un percorso segnalato permette di raggiungere le quattro cime retrostanti, rivolte al Vallone, con le rispettive trincee, cippi, cavernoni. Il panorama in questa direzione non è da meno, affacciato sull’intero altipiano carsico, il golfo di Trieste e i monti attorno a quella città.
Da qui si scende verso Peteano, sull’Isonzo, oppure al paese di San Michele del Carso – Vrh e quindi a Gabria, sulla strada del Vallone, da dove possiamo continuare i nostri giri lungo i percorsi in territorio sloveno.