Da Romans d'Isonzo al parco di Judrio e Torre

 

Da Romans d’Isonzo al Parco di Judrio e Torre

 

Il percorso congiunge il centro di Romans di Isonzo con il parco di Judrio e Torre, attraverso un territorio che presenta valenze naturalistiche, archeologiche, di archeologia industriale

Nel centro di Romans si trovano alcune architetture di un certo rilievo: la chiesa di Santa Elisabetta, con il campanile “a cipolla”, tipico di questa parte di Friuli; la settecentesca villa del Torre; palazzo Candussi, caratteristica costruzione padronale che si affaccia sulla strada con una graziosa facciata e si apre all’interno su una corte un tempo dedicata ai lavori agricoli ( sarà prossima sede di un museo che raccoglierà le testimonianze longobarde emerse dal territorio locale; vi troveranno sede pure la biblioteca e altre strutture comunali). Si segnala pure Borgo Raccogliano, piccolo agglomerato rurale poco fuori al paese, a nord-ovest.

Ci allontaniamo dall’abitato lungo la strada che si stacca in prossimità del campo sportivo. Poco oltre ci troviamo di fronte un capannone rimaneggiato, un tempo sede “staccata” dello stabilimento triestino Modiano, noto per le carte da gioco.

L’area che attraversiamo un centinaio di metri dopo, dove le case lasciano il posto alla campagna, è il luogo di una importate necropoli longobarda. Le prime sepolture emersero casualmente nel 1986, mettendo in luce dei risultati sorprendenti. L’anno seguente i lavori di scavo proseguirono in modo sistematico, permettendo di riportare in superficie una necropoli alto-medievale dai limiti non ancora chiariti, ma sicuramente una delle più grandi d’Italia. Altre 260 sepolture si disponevano a file grossomodo parallele, a orientamento est-ovest, con la testa a ovest (tranne qualche eccezione), a una profondità in genere inferiore al metro. I defunti, tra i quali si individuarono guerrieri e donne longobarde, erano dotati di corredi di tipo diverso, costituiti da vasellame, scudi e armi da offesa, o caratterizzati dalla presenza di pettine e coltello.

Proseguiamo lungo la strada fino a raggiungere la nuova circonvallazione del paese. Davanti a noi una campagna ordinata, disegnata dai fossi e dai filari di arbusti. In fondo, la grande mole della fornace abbandonata, sullo sfondo di una cortina di pioppi e altri alberi che ci segnalano il corso del torrente Judrio.

Il nostro percorso di divide in due: possiamo raggiungere l’argine attraverso due carrarecce diverse, che si staccano dalla circonvallazione una più a sud (alla nostra sinistra) l’altra a nord (a destra).

Da entrambe vediamo molto bene la fornace, che oggi si presenta come un grosso edificio in parte cadente affiancato da una ciminiera. La prima fornace costruita in questo luogo si trovava però in posizione avanzata, corrispondente più o meno al prato antistante la facciata dell’edificio attuale. Era un forno di tipo Hoffmann a 12 camere, ossia un tipo di fornace che riprendeva il modello tecnologico diffuso nella seconda parte dell’Ottocento, primo sistema industriale per la produzione dei mattoni (le “camere”, ossia delle stanze adibite a forno, erano disposte ad anello, comunicanti tra loro in modo che il fuoco per la cottura dei mattoni veniva spostato di camera in camera, senza dover essere spento e riacceso per il caricamento dei materiali). L’impresa apparteneva originariamente ai triestini Wagner e Dachler, che la inaugurarono in una zona e in un periodo molto favorevoli per quella lavorazione (in tutto il goriziano ce n’era all’epoca circa una trentina). In breve si pensò di passare alla costruzione di un secondo impianto, molto più ampio (forno Hoffmann a 24 camere, con tre piani superiori per l’essiccazione e la lavorazione) corrispondente all’edificio ancora esistente. Lo stabilimento proseguì la sua attività con l’intervento del possidente locale Candussi anche dopo la prima guerra mondiale, ampliando la produzione e la manodopera fino a raggiungere un posto dominante nel suo campo. Chiuse nel 1950, per la crisi dovuta all’introduzione sui mercati di un più moderno sistema produttivo.

Non tutti i fabbricati che componevano il complesso industriale sono rimasti in piedi: oltre agli edifici esistenti, c’erano altre due ciminiere, numerosi porticati per l’essiccazione dei prodotti e spazi attrezzati per la lavorazione dell’argilla. Le cave per l’estrazione dell’argilla, delle “buche” divenute nel tempo dei laghetti, si trovavano di nei dintorni, di qua e di là del Judrio.

Il torrente Judrio, che raggiungiamo a circa trecento metri dalla circonvallazione è qui nell’ultimo tratto del suo corso. Poco a valle sfocia nel torrente Torre, che a sua volta dopo qualche chilometro confluisce nell’Isonzo. Poco a monte invece lo Judrio raccoglie le acque dell’affluente Versa.