Da Doberdò del Lago al “Vallone”
Il percorso collega l’abitato di Doberdò ai paesi del Vallone aggirando il colle del Castellazzo (Colle Nero, o Crni Hrib). Presenta valenze di tipo ambientale e storico, per le testimonianze archeologiche e di quelle legate alla prima guerra mondiale.
Per uscire dal paese di Doberdò si seguono le indicazioni che portano a Gradina, centro visite della Riserva Naturale dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa (cercare via Vallone – Dol).
Siamo ai margini del Castellazzo, colle che in virtù della sua posizione geografica è stato abitato fin dalla protostoria (nella parte opposta a noi controlla dall’alto l’imboccatura del Vallone e un notevole panorama; inoltre è prossimo all’acqua del lago di Doberdò). Numerosi reperti dell’epoca del rame e del bronzo antico, ceramiche e monete del IV-V sec.d.c. confermano che qui si trovava un castelliere, riadattato e riutilizzato in epoca romana e probabilmente abbandonato a seguito dell’invasione degli Unni.
Ma tutta l’intera collina offre spunti di notevole interesse: il centro di Gradina, cui ci conducono evidenti tabelle segnaletiche, si trova nell’area delle due cave un tempo utilizzate dalla Solvay, fabbrica di soda situata nei pressi di Portorosega (zona industriale monfaconese del Lisert); fino a una quarantina di anni fa esisteva ancora la teleferica che trasportava i massi di pietra fino allo stabilimento. Una ventina di minuti di cammino oltre Gradina, a conclusione di un sentiero un po’ esposto ma estremamente suggestivo per la splendida vista sul sottostante lago di Doberdò, si situa la Casa Cadorna: oggi è un edificio utilizzato come base per escursioni e per la vicina palestra di roccia, ma intorno a essa si riconoscono altri ricoveri in muratura che, in virtù della loro posizione ben protetta, tra il 1916 e il 1917 forse ospitarono i vertici dei comandi militari italiani.
Per proseguire invece verso il Vallone abbandoniamo il sent. 77 all’ultima indicazione per Gradina e continuiamo il nostro cammino lungo il percorso calcato per secoli dagli abitanti locali nei loro spostamenti. La strada bianca corre in quota all’interno di un rado bosco a prevalenza di carpini e roverelle. Dopo quattrocento metri circa un antico cippo ci segnala la storica divisione tra le province di Trieste e Gorizia, proprio nel punto in cui a destra si stacca un sentiero. Se lo prendiamo giungiamo in breve alla sommità del Castellazzo: una delle aperture in quello che era stato il vallo romano ci introduce in un’area in cui muretti e pietre sparse tra gli arbusti si confondono; solo a un’osservazione più attenta possiamo distinguere i resti del castelliere dal consolidamento romano (guardare dove possibile la stratigrafia delle murature) e individuare il cammino delle trincee della prima guerra mondiale.
La strada principale invece dopo il cippo scende rapidamente verso il Vallone. Di tanto in tanto oltre agli arbusti possiamo intravedere campi solcati e distese di massi bianchi. Di fronte a noi il versante opposto dell’altipiano, quello su cui dal 1947 corre il confine con la Slovenia. In breve si raggiunge il fondovalle, incrociando prima la strada statale n°55, quindi il tracciato della vecchia strada postale.
La vecchia strada postale del Vallone, disposta tra gli abitati di Bonetti a sud e Gabria a nord, fondamentale via di traffico fino al 1936. Presenta interessanti aspetti architettonico – urbanistici, ambientali e storici.. Alcune possibili diramazioni , disposte su antiche vie di comunicazione tra altipiano e fondovalle, permettono un collegamento transfrontaliero con i percorsi che si trovano in territorio interamente sloveno.
Secondo le opinioni più autorevoli, il Vallone del Carso (Dol in sloveno) sarebbe l’alveo abbandonato di un fiume tributario del Vipacco. Per la sua posizione costituisce la via più breve di collegamento tra la piana di Gorizia e il mare, nella zona delle foci del Timavo, percorso fondamentale nei traffici non solo locali. Vi passava infatti la cosiddetta “strada del ferro”, ultimo tratto della via che portava questo materiale dal Predil all’Adriatico; strada che correva sul fondovalle, toccando tutti i paesi da Gabria a nord fino a Bonetti a sud.
La prima guerra mondiale portò un cambiamento radicale alla vita nella valle. Nella prima parte del conflitto la zona era retrovia austriaca, mentre dopo la presa di Gorizia (agosto 1916) essa divenne in breve un immenso accampamento della retrovia italiana, “popolato” da circa un milione di soldati. Per questi motivi, nei campi e prati limitati dai muretti a secco e tra gli arbusti dei pendii oggi qui si possono incontrare opere e monumenti realizzati da entrambi gli eserciti.
Dopo la fine della guerra, e in particolare dopo il parziale svuotamento dei cimiteri, quando le salme italiane vennero traslate a Redipuglia (quelle austriache rimasero invece qui fino al 1969), si pensò alla monumentalizzazione del Vallone come una zona sacra, alla pari di altre direttrici stradali che congiungevano località importanti per le vicende del conflitto. Gorizia fu collegata a san Giovanni di Duino da una nuova strada statale, affiancata nell’intero suo percorso dai solenni filari di cipressi che tuttora la contraddistinguono: paragonati da alcuni a soldati di un esercito in parata, questi alberi avevano il compito di celebrare la vittoria italiana commemorando i suoi caduti e i suoi eroi.
Il confine tracciato nel 1947 sul versante est ha interrotto tutte le vie di comunicazione tra la valle e il soprastante altipiano, da sempre utilizzate dalla popolazione locale nei suoi spostamenti.
I paesi di fondovalle, tutti pesantemente segnati dalle vicende della prima guerra mondiale, conservano molti documenti delle attività che per secoli hanno regolato l’economia della zona. Si riconoscono ancora alcuni tratti peculiari di un’architettura spontanea originale ( in particolare in alcuni pur rari fabbricati rurali, fienili, recinti), assieme ad altri segni nel territorio, come i lievi terrazzamenti dei campi, alcuni abbeveratoi, qualche cava abbandonata.
Il primo paese a sud è Bonetti, piccolo centro che si inerpica sul pendio verso est... All’inizio dell’abitato notiamo il recinto di un cimitero di guerra, i cui pilastrini di ingresso sono rivestiti da due lapidi a forma di mostrina. Salendo attraverso le case, tutte ricostruite dopo il conflitto, notiamo sulla sinistra un fabbricato semidiruto in legno, ultimo esempio dell’infinito baraccamento che si trovava qui nel 1917.
Il secondo paese del fondovalle è Ferletti, anch’esso articolato lungo il pendio più soleggiato del solco vallivo. Dietro alle case si nota l’imponente massicciata della strada intitolata al generale Barco: conduceva i soldati dalle retrovie al fronte soprastante. Un sentiero che si stacca a un bivio poco prima del paese si dirige verso il confine (e l’abitato di Nova Vas) e verso quota 208 nord, cima fondamententale nelle strategie militari. La nostra strada procede invece verso Issari, Berne e Miccoli, dove si notano ancora dei begli edifici rurali in pietra, discretamente conservati. In corrispondenza del bivio per Issari, dalla parte opposta della strada un piccolo cippo reca incisa la scritta “II Z. III A, 1917”, a ricordo dei lavori qui effettuati. A Miccoli si passa lungo il muro di un altro cimitero vuoto, al cui centro si trovava pure una cappelletta. Avvicinandosi a Palchisce notiamo sulla sinistra, in alto sul versante dalla parte dell’Italia, i resti di una cava abbandonata. Poco prima delle case e di una chiesa con campaniletto a vela (recente, nonostante la tipologia) , a sinistra, si trovava un cimitero. Oltrepassiamo ora la statale e, costeggiando un bel muro in pietra, seguiamo le indicazioni per Vizintini. Dopo qualche decina di metri, sulla sinistra, ci sono i resti di un monumento austriaco del 1916: si riconoscono ancora gli alloggiamenti degli obici che “decoravano” la struttura. Procediamo lungo la strada, antica nonostante l’asfalto, e ci inoltriamo in un paesaggio che si allarga e si addolcisce un po’. Il paese che raggiungiamo in breve presenta ancora documenti di guerra, come un bell’ abbeveratoio per cavalli, opera dell’Esercito Italiano, ornato da un bel fregio ovale, due cimiteri vuoti, intitolati a militari italiani ma originariamente austro-ungarici (si veda il cippo con iscrizione in tedesco e croato collocato al centro del più grande tra i due. Tra le case, una bella cappella in stile neo-medievale detta “degli ungheresi”, fatta di mattoni rossi e pietra bianca, rimasta incompiuta forse a pochi giorni dall’armistizio. L’impianto urbano ancora integro, allineato sulla direttrice di fondovalle, presenta anche altre testimonianze della storia del luogo, come due interessanti ancone votive e qualche costruzione dalla tipologia originaria.
Pochi metri ancora e siamo nell’abitato di Devetachi. Attraversiamo un sottopasso in apparenza angusto: è il passaggio che consentiva agli abitanti locali di aggirare la dogana che era posta sulla soprastante strada postale. Il paese mantiene ancora l’aspetto del borgo carsico, assieme a qualche interessante elemento architettonico (un arco datato 1798, una vera da pozzo), mentre due bandiere dipinte in modo un po’ naif sopra l’ingresso di una casa inneggiano alla Yugoslavia. Un po’ oltre, dall’altra parte della strada statale, si estende un’altra conca, sul cui fondo ci sono altri due cimiteri vuoti. Sopra di noi , a ovest, si trova il Brestovec, la cui cima è circondata da una cannoniera rivolta al fronte con una decina di aperture e attraversata da un percorso in galleria, collegato al fondovalle da una carrareccia forestale recentemente ripulita.
Il tracciato storico della vecchia strada del Vallone si conclude circa tre chilometri più avanti, a Gabria. Se noi lo abbandoniamo poco oltre la strada asfaltata che porta al valico confinario di Devetacchi-Loquizza prendiamo una delle possibili deviazioni dirette in territorio sloveno, per dirigerci attraverso il bosco nella zona del Na Logu, del Cerje e dei relativi itinerari.
L’altra possibile deviazione trasfrontaliera parte invece da Bonetti per salire lungo la strada che attraversa il paese verso l’abitato di Nova Vas ( da dove è possibile scendere a Ferletti), oppure verso le cime del Kremljak (quota 208 sud, molto importante durante la prima guerra mondiale, punto estremamente panoramico) e del Zupanov Vrh. Tutta questa zona, che è possibile pure percorrere ad anello per poi tornare indietro, offre un panorama indescrvibile sulla pianura e sull’intero golfo di Trieste. Ancora in territorio italiano si può vedere l’Abisso Bonetti, fenomeno geologico piuttosto raro per il suo sviluppo orizzontale.