Dalla Riserva Naturale Foce dell’Isonzo a Monfalcone
La prima parte si snoda all’interno della Riserva Naturale Foce dell’Isonzo, su una pista ciclabile ben segnalata. Questa zona si caratterizza per la commistione di un’ampia parte di terreno bonificata negli anni venti del Novecento (la bonifica del Brancolo) e parti superstiti dell’antico bosco che ricopriva interamente le terre emerse, ancora attraversate da corsi d’acqua naturali originati da risorgive situate poco a nord. Si parte dalla località Riva Lunga, prendendo a destra il bivio che precede un ristorante con area giochi. Ci troviamo sotto a un gruppo di pioppi di notevoli dimensioni, alberi che forse hanno dato origine al toponimo Alberoni, frequente in tutte le aree peri-lagunari tra golfo di Panzano e delta del Po. Giungiamo in breve a un altro bivio, segnalato dalla presenza di un’ancona votiva mariana realizzata ai tempi del risanamento. Uno sguardo alla nostra destra mostra le estese campagne piatte tipiche della bonifica; a sinistra, verso il mare, una pineta di recente introduzione e una casa colonica. Lasciamo perdere la lunga strada rettilinea che, a sinistra, costeggia la pineta e proseguiamo diritti, lungo una carrareccia sterrata. Dopo 200 metri ci troviamo sul ponte: sotto a noi uno stagno, dove non di rado si possono vedere tartarughe, assieme ad altre specie tipiche della fauna palustre. Un cancello sempre aperto, al limite di un altro brano di bosco, questo molto più fitto del precedente, ci fa capire che stiamo entrando in un’azienda agricola privata, un tempo appartenente ai de Dottori; poco oltre, ancora a destra, una palizzata in legno con alcune aperture funge da osservatorio per la ricca fauna dello stagno sottostante, resto della palude precedente la bonifica (uno “sguazzo”, o sguass, da cui il nome di “osservatorio Sguass”).
Le indicazioni della pista ciclabile ci portano a sinistra, ma noi possiamo compiere una breve deviazione per attraversare il cortile di un complesso rurale e arrivare in breve a un argine: è l’argine che delimita il bacino del delta dell’Isonzo, e più precisamente il braccio chiamato Quarantia. Poco a nord, sempre dalla parte interna all’argine, si nota una vasto terreno semi-acquitrinoso, deposito di un altro corso d’acqua naturale impoverito dall’opera della bonifica, oggi detto Brancolo morto.
Torniamo sui nostri passi e riprendiamo il percorso indicato dalla pista ciclabile. Giungiamo di nuovo sull’argine: la Quarantia qui è molto larga e calma; oltre ad essa, si estende l’isola della Cona, racchiusa tra la Quarantia stessa e gli ultimi sei chilometri del corso dell’Isonzo. Il paesaggio che si può ammirare dall’argine è estremamente suggestivo: da una parte la Cona, con il centro visite, gli osservatori, i numerosi volatili e i cavalli della Camargue; più in là il mare, nelle giornate più limpide l’intero profilo del golfo di Trieste, con il Carso montano e i monti dell’Istria; dietro a noi la distesa della pianura, con i lontani agglomerati dei paesi, le prime propaggini del Carso con la Rocca, le alture retrostanti fino alle alpi Giulie.
La zona limitrofa all’ultimo tratto del corso del fiume Isonzo è stata soggetta nei secoli a notevoli trasformazioni paesaggistiche, dovute in gran parte all’instabilità del percorso seguito dalle acque per raggiungere il mare e alle conseguenti possibilità di usare il terreno circostante. Il ramo privilegiato per secoli doveva essere il tratto detto Sdobba, corrispondente più o meno alla attuale conclusione del fiume. Ciò sino al 1896, quando invece, a seguito di una piena il percorso si spostò nella Quarantia, fino ad allora piccolo e stretto corso di risorgiva più o meno parallelo alla Sdobba. Negli anni Trenta del Novecento, periodo di alcuni interventi di bonifica di
aree limitrofe (in riva sinistra quella del Brancolo, in riva destra la “bonifica della Vittoria”, nel territorio
di Fossalon), il corso dell’Isonzo fu nuovamente indirizzato nella Sdobba; tra Sdobba e Quarantia
si costruì un imponente manufatto, noto come diga, costituito da alcuni portelloni che in caso di piena dovevano aprirsi naturalmente permettendo il deflusso delle acque nel corso laterale. Da allora la lunga striscia di terreno che si estende tra i due fiumi, l’isola della Cona, ebbe confini più definiti e una configurazione paesaggistica e ambientale più stabile; le caratteristiche proprie degli ambienti umidi favorirono la presenza di fauna stabile e di passo e di elementi vegetali particolarmente significativi. Ai primi anni Novanta risale l’istituzione della Riserva Naturale Foci dell’Isonzo, area che si estende, con un centro-visite e alcune strutture dedite alla fruizione e all’osservazione, sull’intera Isola della Cona, ma anche su buona parte dell’area estesa sulla riva sinistra del fiume.
Proseguiamo lungo la ciclabile passando per punta Barene: qui la Quarantia sfocia impercettibilmente nel mare e la costa piega decisamente. Il percorso continua ai piedi dell’argine, ma ogni tanto delle attrezzature ci consentono di salire e ammirare la vista, spesso animata da uccelli stanziali o di passo in una discreta varietà.
Nei pressi della località Riva Lunga, dove si trova la prima di una serie di scale di cemento, la nostra strada esce dalla riserva. Poco prima, a sinistra, c’è un altro corso d’acqua sopravvissuto alla bonifica, il rio Alberone. Oltre l’argine l’arenile si allarga e sorge il primo centro balneare; dopo duecento metri, ancora a destra, alte chiome sono gli unici indizi della presenza di un altro corso naturale, il Fiumisino, mentre l’area dalla parte del mare non di rado, specie nelle giornate di forte bora, è luogo per la pratica del kitesurf.