Da Pieris al parco dell'Isonzo



Da Pieris al parco dell’Isonzo

 

Il percorso mette in collegamento i due centri di San Canzian e Pieris con il parco dell’Isonzo, in una delle sue parti più suggestive.

Se partiamo da Pieris, possiamo vedere al centro dell’abitato villa Settimini, edificio padronale di probabile origine settecentesca, per molti anni sede comunale; i pini a ridosso del fronte posteriore sono un ricordo dell’antico giardino, un tempo esteso anche sull’odierna piazza. Da qui, lungo un percorso sterrato affiancato a tratti da begli alberi, arriviamo nella zona della Marcorina (vedi oltre).

Si può visitare anche San Canzian (o partire da lì), sito archeologico di epoca romana e paleocristiana di notevole importanza. La parrocchiale è circondata da un lapidario che mostra reperti risalenti nell’arco di tempo esteso dal I al IV sec. d.C., probabilmente uno dei più completi tra quelli visitabili, non solo in questa regione. In un locale annesso alla chiesa di trova invece l’Antiquarium Cantianense, dove dal 1972 sono esposte le diverse testimonianze raccolte dagli scavi nei territori limitrofi ( tra cui frammenti musivi, iscrizioni funerarie, statuette funerarie e altri reperti minori). Entrambi, assieme alla chiesa parrocchiale meritano una visita accurata.

Fin dal I sec.a .C. il luogo sarebbe stato un vicus di una certa importanza, posto vicino al sito detto Ad Acquas Gradatas, uno dei porti che erano collocati lungo il fiume Isonzo. Diversi reperti emersi casualmente dalle campagne immediatamente a sud dell’abitato odierno, nelle località Rondon e Gorgat (in particolare due case con significativi pavimenti musivi) e Riva dei Cop (una copiosissima quantità di frammenti laterizi e ceramici) confermano la collocazione di un insediamento nei pressi di quello che all’epoca doveva essere l’argine del fiume. Altre epigrafi, oggi murate nella parrocchiale o esposte nel lapidario che la attornia, documentano la presenza nella zona di almeno 15 famiglie (gentes) tra cui quella dei Cantii, destinata a legarsi al nome moderno del paese. Reperti emersi casualmente e recenti indagini confermano che il sottosuolo nasconde ancora elementi da studiare in molti punti sparsi sull’intero territorio comunale.

La vicenda dei martiri Canziani è stata ricostruita in gran parte in base a quanto narrato nel Passio contenuto negli Acta Sanctorum. Essa risale al 303-304 d.C., all’epoca delle persecuzioni di Diocleziano, quando i fratelli Canzio, Canziano e Canzianilla sarebbero giunti in questa località da Roma assieme al loro pedagogo Proto, poco dopo il martirio di un loro congiunto, Crisogono.

Rifiutandosi di negare la fede cristiana, furono anch’essi trucidati, per essere sepolti come consuetudine ai lati della principale strada del luogo, la via Gemina, asse di collegamento tra Aquileia e Tergeste. Negli anni seguenti, la Chiesa di Aquileia fece costruire delle tombe sulle sepolture: quella dei Canziani, divenuta nel tempo un importante luogo di devozione e venerazione, tra il V e il VI secolo fu ampliata nelle forme di una basilica. Sembra che l’afflusso dei pellegrini dovesse continuare in proporzioni consistenti anche nei secoli a venire, ragione pure dell’istituzione di un monasterium, forse visitato, nell’anno 819, da Ludovico il Pio e la sua corte.

In seguito la chiesa, ricostruita in posizione leggermente scostata, divenne pieve, una delle prime del territorio, assieme a San Pietro (San Pier d’Isonzo) e alla Marcelliana (Monfalcone). Esaurito il fervore religioso, la vicenda dei martiri, assieme alla memoria del periodo romano, cadde nell’oblio, lasciando traccia di sé solamente nella toponomastica e in alcune tradizioni. Tali indizi trovarono supporto in epoca moderna nelle cospicue testimonianze emerse di tanto in tanto dalla terra, confermate scientificamente dall’unica campagna di scavo effettuata finora in modo sistematico attorno agli edifici di culto tra il 1960 e il 1969.

Nell’abitato ci sono inoltre altre interessanti testimonianze di fede, Santo Spirito e San Proto. Il primo è un suggestivo edificio a pianta cilindrica, datato al XI e al XIV secolo in base ad alcune pitture interne solo parzialmente scoperte e identificato con un battistero; le origini non sono state chiarite del tutto dalle sporadiche azioni di scavo. San Proto è invece una chiesa costruita nel XV secolo su un precedente edificio paleocristiano, di cui si conserva in parte il pavimento; l’interno, uno spazio semplice ad aula unica, custodisce inoltre due sarcofagi del IV secolo d.C. Si segnala inoltre un piccolo altare, realizzato sul luogo raggiunto da secoli dalle processioni locali: si trova in una località storicamente nota con l’indicativo toponimo Grodate, oggi via omonima.

Il percorso della via Gemina in direzione Aquileia è ricalcato grossomodo dal nostro itinerario, che esce dall’abitato in direzione dell’Isonzo attraverso via San Proto. Nei pressi della provinciale n.1 si supera un canale regimentato in occasione dell’opera di bonifica del primo novecento raccogliendo le acque della roggia di Turriaco (più a nord-ovest) e di un altro canale naturale.

Oltrepassata la provinciale, siamo nella zona detta Marcorina forse in nome di Ermagora, santo che un’ipotesi molto suggestiva ma non ancora ben retta da documenti vorrebbe martirizzato proprio in questa località. Un mosaico realizzato di recente sul muro perimetrale di uno degli interessanti fabbricati che compongono la sede di un’azienda agricola è dedicato a questa vicenda.

Siamo a poca distanza dal fiume. Poco più a monte, all’interno del letto, nel 1978 furono trovati dei massi lapidei, identificati con i resti del ponte con cui la via Gemina superava l’Isonzo, databili al 57-56 a.C.. Tali ritrovamenti posero in seria discussione la convinzione diffusa fino ad allora: si pensava infatti che l’ultimo tratto del fiume Isonzo in tempi antichi corresse immediatamente ai piedi della pendice carsica, raggiungendo il golfo di Panzano attraverso Ronchi. Questa idea era confortata dal ritrovamento, fin dal 1670, di grossi massi identificabili appunto con i conci di un ponte tra la collina del Sochet e quella su cui sorge villa Hinke, presso la chiesa di San Lorenzo, a Ronchi. Il fiume avrebbe cambiato poi il suo corso dopo il 589 d.C., a seguito di un’alluvione ricordata da Paolo Diacono. Tra le teorie più accreditate attualmente si pone l’ipotesi che il fiume sfociasse in mare attraverso un delta basato su due rami principali.

Il percorso si avvicina all’argine e al perimetro del parco attraversando l’area venatoria avifaunistica della Marcorina, in una zona in cui la disposizione dei campi è disegnata da fossi più antichi e irregolari, nascosti dai rovi, e canali di bonifica rettilinei, punteggiata da boschetti di grossi pioppi. Lo stesso paesaggio caratterizza anche la parte di campagna interna all’argine: siepi e gruppi di alberi che si stagliano nell’orizzontalità del terreno sono le ultime testimonianze di un paesaggio un tempo caratterizzato dall’alternarsi di pascoli e boschi, attraversati da corsi d’acqua dall’andamento tortuoso e grossi stagni, nascosti dall’ombra di pioppi, salici e altri arbusti tipici della flora palustre. L’Isonzo è vicino, e scorre tranquillo, avviato ormai verso la foce. Nelle sue acque verde scuro si specchiano i boschi che ricoprono la sponda opposta, in territorio di Isola Morosini, anch’essa ricca di acque sorgive e stagni naturali.

Lungo l’argine possiamo raggiungere la località del Rondon, dove oggi si trovano i fabbricati di una moderna azienda agricola. Siamo nei pressi della “Villa Luisa”, un razionale complesso incentrato su una residenza risalente alla metà del Novecento, completata da una chiesetta e alcuni annessi rurali inseriti in un parco di un certo pregio. E’ questa la zona da cui sono emersi più cospicui i reperti romani: i primi già alla fine del Settecento, quando il possidente di origine francese Morè de Pontigibaud, esule a Trieste con lo pseudonimo di Labrosse, iniziò il dissodamento di un terreno da lui acquistato in questa località; gli altri casualmente in occasioni successive, fino agli scavi degli anni Sessanta del Novecento. Di fronte l’ingresso principale di villa Luisa, a conclusione di una strada sterrata rettilinea che si stacca dalla Provinciale 19, correndo dietro all’ultima parte superstite di un bosco planiziale (Bosc Grand), si scorge Riva dei Cop, probabile sito di fabbriche romane, in secoli più recenti molino azionato dalle acque di uno dei numerosi corsi naturali della zona, molto citato nei documenti. Nella località Gorgat, immediatamente a sud di Riva dei Cop, fu riportato casualmente alla luce un interessantissimo mosaico dell’età imperiale, oggi esposto presso la sede del Consorzio Bonifica, a Ronchi dei Legionari.